DISCLAIMER
Il presente articolo ha finalità esclusivamente informativa e non costituisce un parere legale. Ogni situazione abbisogna di una valutazione specifica, la cui disamina non può prescindere dall'attento ascolto del Cliente e dallo studio della relativa documentazione.
Accettare un accordo in mediazione conviene sempre? Quando proseguire in giudizio è più efficace: vantaggi, rischi, tempi e valutazioni legali fondamentali.
23 giugno 2025
Redazione
Quando conviene accettare un accordo in mediazione anziché proseguire in causa
Considerazioni preliminari
La scelta tra la definizione stragiudiziale di una controversia in sede di mediazione e la prosecuzione del contenzioso in sede giurisdizionale costituisce, a tutti gli effetti, una valutazione strategico-processuale che non può prescindere da un’analisi puntuale della situazione concreta, né da una ricostruzione corretta della disciplina normativa applicabile.
In via generale, l’ordinamento prevede che la mediazione, quale strumento alternativo di risoluzione delle controversie (ADR), possa essere facoltativa, obbligatoria per legge o delegata dal giudice. L’utilità dell’accordo dipende quindi da una pluralità di fattori: alcuni di ordine giuridico, altri di tipo economico, altri ancora legati alla natura del rapporto tra le parti.
Lo scopo del presente contributo è illustrare, in termini concreti, quando la mediazione rappresenta un’opzione efficace, e in quali circostanze, al contrario, si riveli non conveniente o addirittura inopportuna, tenendo conto anche delle conseguenze processuali e patrimoniali derivanti da una scelta errata o non ponderata.
La mediazione nel sistema processuale: Obbligatorietà e Natura Giuridica
Ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale in una serie di materie espressamente indicate: tra esse, si ricordano le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, contratti bancari, assicurativi e finanziari.
Fuori da tali ipotesi, la mediazione può comunque essere esperita su base volontaria, oppure su impulso del giudice, che può invitare le parti a tentare la composizione della lite ogniqualvolta lo ritenga utile in relazione alla natura della controversia, allo stato del processo o alla disponibilità delle parti. È importante sottolineare che la mediazione — anche quando facoltativa — non si esaurisce in un adempimento formale, ma rappresenta uno strumento processuale autonomo, finalizzato a consentire una definizione anticipata della lite con effetti vincolanti tra le parti, laddove l’accordo venga raggiunto.
Tempi, costi, rischi e sostenibilità dell’accordo
La decisione di aderire o meno a una proposta conciliativa non può fondarsi su criteri astratti. Va condotta, invece, alla luce di parametri oggettivi, tra cui:
- La durata prevedibile del processo, tenuto conto dei tempi medi dell’ufficio giudiziario competente e dell’eventualità di una fase impugnatoria;
- L’incertezza dell’esito, anche in presenza di una posizione ritenuta, a prima vista, solida;
- La quantificazione delle spese legali e peritali nel lungo periodo;
- La recuperabilità effettiva del credito o dell’utilità perseguita, anche in termini esecutivi;
- Il carico relazionale della vertenza, specie quando intercorre tra soggetti legati da vincoli familiari, sociali o contrattuali destinati a perdurare.
In molte ipotesi, la mediazione consente una definizione più rapida, riservata e meno onerosa della controversia, rispetto al giudizio ordinario. Inoltre, la sede conciliativa può agevolare soluzioni personalizzate, anche atipiche, non riconducibili agli strumenti di tutela previsti in via giudiziale. Tali soluzioni possono rivelarsi particolarmente adatte nei contesti in cui la rigidità del dispositivo giudiziale rischia di compromettere l’equilibrio sostanziale.
Quando la mediazione NON è utile
Nonostante i vantaggi sopra illustrati, la mediazione può risultare non funzionale o persino dannosa in determinate circostanze. In particolare:
Qualora emerga l’assoluta indisponibilità della controparte ad un confronto effettivo, o si accerti un atteggiamento strumentale, volto unicamente a prolungare i tempi della procedura;
Quando la posizione giuridica della parte sia pienamente fondata e supportata da documentazione solida, in assenza di contestazioni significative sul piano probatorio;
In caso di necessità di accertamento tecnico complesso, la cui valutazione è riservata all’autorità giudiziaria;
Nelle ipotesi in cui il ricorso alla mediazione rischi di ritardare misure cautelari o urgenti non procrastinabili.
In tutte queste situazioni, l’accettazione di un accordo rischia di determinare un pregiudizio ingiustificato, o di minare la tutela effettiva dei diritti, soprattutto quando l’obiettivo perseguito non è un compromesso, ma una decisione giurisdizionale idonea a fare stato.
Il rifiuto dell’accordo e le sue conseguenze
Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 28/2010, il rifiuto di una proposta conciliativa può essere valutato dal giudice in sede di condanna alle spese, laddove l’accordo fosse proporzionato alla sentenza finale. Tale valutazione si estende anche ai comportamenti processuali complessivi e alla leale collaborazione nella fase preliminare, e può sfociare — nei casi più gravi — in una condanna ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria, con riconoscimento del danno ingiusto cagionato alla controparte in conseguenza della condotta processuale.
Va inoltre osservato che, nel bilanciamento tra rischio e utilità, l’ostinazione a perseguire una sentenza sfavorevole può generare effetti sproporzionati, tanto sul piano patrimoniale quanto su quello reputazionale.
Il ruolo dell’avvocato nella scelta
Il compito dell’avvocato non si esaurisce nell’assistenza tecnica alla mediazione, ma si estende alla valutazione preliminare della convenienza dell’accordo e alla rappresentazione oggettiva dei margini di rischio.
Un’analisi onesta e ben fondata richiede l’esame della struttura normativa del diritto azionato, della giurisprudenza di riferimento, della prova disponibile e dell’onere probatorio, nonché del quadro patrimoniale della controparte, anche in chiave esecutiva. A ciò si aggiungono le condizioni personali e relazionali del cliente, che possono incidere sensibilmente sull’opportunità di affrontare un giudizio lungo e conflittuale.
Solo al termine di questo percorso valutativo sarà possibile offrire una consulenza pienamente consapevole, capace di guidare la parte verso una soluzione ragionata, fondata e sostenibile.
Considerazioni finali
La mediazione rappresenta un istituto giuridico autonomo, da considerarsi alla luce della struttura concreta della controversia, dei diritti in gioco e delle possibilità di composizione negoziale. Accettare un accordo può essere una scelta strategicamente vincente, purché compiuta con cognizione di causa e non in via meramente difensiva. Allo stesso modo, proseguire in giudizio può rivelarsi necessario quando la controparte non collabora, nega l’evidenza o strumentalizza il procedimento.
In ogni caso, la valutazione deve essere affidata a un’analisi giuridicamente fondata, effettuata con l’assistenza di un professionista iscritto all’Albo, che conosca a fondo il quadro normativo e processuale applicabile e sappia orientare il cliente verso la soluzione più idonea al caso concreto.
Disclaimer: Il presente testo ha finalità puramente informativa. Ogni valutazione in merito alla convenienza di un accordo o alla prosecuzione della lite deve essere svolta sulla base di una consulenza legale specifica, prestata da un avvocato regolarmente abilitato.
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Il presente articolo ha finalità esclusivamente informativa e non costituisce un parere legale. Ogni situazione abbisogna di una valutazione specifica, la cui disamina non può prescindere dall'attento ascolto del Cliente e dallo studio della relativa documentazione.
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