DISCLAIMER
Il presente articolo ha finalità esclusivamente informativa e non costituisce un parere legale. Ogni situazione abbisogna di una valutazione specifica, la cui disamina non può prescindere dall'attento ascolto del Cliente e dallo studio della relativa documentazione.
Recesso contrattuale: requisiti, termini e procedura. Quando è legittimo recedere e quali differenze con la risoluzione per inadempimento.
03 dicembre 2025
Redazione
Recedere da un contratto firmato: diritti, rischi e quando serve un avvocato
Premessa
Un contratto firmato vincola. Questo è il principio. Eppure, quando il rapporto non funziona più — per un inadempimento, un ripensamento, un cambio di circostanze — la prima reazione è cercare una via d’uscita. Il problema è che “uscire da un contratto” non è un’operazione libera: l’ordinamento prevede strumenti diversi, con presupposti e conseguenze che non vanno confusi.
L’ordinamento prevede strumenti diversi per liberarsi da un contratto:
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Il recesso, che consente di sciogliere unilateralmente il vincolo quando la legge o il contratto lo prevedono;
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La risoluzione per inadempimento, che presuppone una violazione grave da parte dell’altra parte e produce effetti differenti.
Confondere questi due istituti — o tentare di esercitarli senza averne i presupposti — espone a richieste di risarcimento danni, perdita di caparre e contenziosi evitabili. Il presente contributo chiarisce quando e come è possibile sciogliersi da un contratto, e quali errori evitare.
Inquadramento normativo
Il principio generale è che il contratto ha forza di legge tra le parti: una volta concluso, non può essere sciolto se non per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (art. 1372 c.c.).
Gli strumenti di scioglimento unilaterale sono disciplinati in modo distinto:
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Recesso convenzionale e legale: art. 1373 c.c.
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Recesso del consumatore: artt. 52–59 del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005)
A questi si aggiungono ipotesi specifiche previste per singoli tipi contrattuali (locazione, appalto, mandato, ecc.).
Cos’è il recesso
Il recesso è il potere di una parte di sciogliere unilateralmente il contratto, senza che sia necessario il consenso dell’altra parte né un inadempimento da parte di quest’ultima.
Non è un diritto automatico. Può essere esercitato solo se:
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previsto dal contratto (recesso convenzionale): le parti inseriscono una clausola che attribuisce a una o entrambe la facoltà di recedere, eventualmente dietro pagamento di un corrispettivo (caparra penitenziale, multa penitenziale);
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previsto dalla legge (recesso legale): alcune norme attribuiscono il diritto di recesso in casi specifici — ad esempio, nei contratti a tempo indeterminato (art. 1373, comma 2, c.c.) o nei contratti di lavoro, locazione, mandato.
Recesso del consumatore
Una disciplina particolare è quella del recesso nei contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali. Il consumatore ha diritto di recedere entro 14 giorni dalla conclusione del contratto (o dalla consegna del bene), senza fornire alcuna motivazione e senza penalità, salvo le eccezioni previste dagli artt. 52–59 del Codice del Consumo.
Questo diritto non si applica ai contratti conclusi tra professionisti o tra privati.
Come si esercita
Il recesso si esercita mediante dichiarazione unilaterale recettizia: deve essere comunicato all’altra parte e produce effetto dal momento in cui questa ne viene a conoscenza. Se il contratto o la legge prevedono una forma specifica (raccomandata, PEC), va rispettata.
Effetti del recesso
Il recesso scioglie il vincolo contrattuale ex nunc, cioè dal momento in cui viene esercitato. Le prestazioni già eseguite restano ferme, salvo diversa previsione. Se è stata versata una caparra penitenziale, la parte che recede la perde (o deve restituire il doppio, se l’ha ricevuta).
Cos’è la risoluzione per inadempimento
La risoluzione per inadempimento è un rimedio che presuppone una violazione grave degli obblighi contrattuali da parte dell’altra parte. Non è una facoltà libera: può essere invocata solo se l’inadempimento è di non scarsa importanzarispetto all’interesse del creditore (art. 1455 c.c.).
Tipi di risoluzione
Risoluzione giudiziale (art. 1453 c.c.): la parte adempiente agisce in giudizio per ottenere lo scioglimento del contratto e, se del caso, il risarcimento dei danni. Il giudice valuta la gravità dell’inadempimento.
Risoluzione mediante diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.): la parte adempiente intima per iscritto alla controparte di adempiere entro un termine congruo (non inferiore a 15 giorni, salvo diversa pattuizione o giusta causa). Se l’inadempimento persiste, il contratto si risolve automaticamente allo scadere del termine.
Risoluzione di diritto: si verifica automaticamente in tre ipotesi:
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clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.): il contratto prevede che, in caso di specifico inadempimento, si risolva di diritto;
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termine essenziale (art. 1457 c.c.): il contratto fissa un termine scaduto il quale la prestazione diviene inutile per la parte interessata;
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diffida ad adempiere decorsa senza esito (art. 1454 c.c.).
Effetti della risoluzione
La risoluzione opera ex tunc: il contratto è considerato come mai esistito, e le parti devono restituirsi le prestazioni già eseguite (salvo che per i contratti a esecuzione continuata o periodica, dove l’effetto è limitato al futuro). La parte che ha subito l’inadempimento può chiedere il risarcimento dei danni.
Differenze pratiche tra recesso e risoluzione
I due istituti si distinguono anzitutto per presupposto: il recesso richiede una clausola contrattuale o una previsione di legge, mentre la risoluzione presuppone un inadempimento grave dell’altra parte. Ne consegue che il recesso è un’iniziativa libera (se il diritto esiste), mentre la risoluzione può essere invocata solo in risposta a una violazione altrui.
Diversa è anche la procedura: il recesso si esercita con una semplice dichiarazione unilaterale; la risoluzione richiede una diffida ad adempiere, l’attivazione di una clausola risolutiva espressa o un’azione giudiziale.
Gli effetti nel tempo divergono in modo significativo. Il recesso opera ex nunc: scioglie il contratto dal momento in cui viene esercitato, lasciando ferme le prestazioni già eseguite. La risoluzione opera invece ex tunc: il contratto si considera come mai esistito, e le parti devono restituirsi quanto ricevuto (salvo che nei contratti a esecuzione continuata, dove l’effetto retroattivo è limitato).
Infine, le conseguenze economiche: chi recede perde la caparra penitenziale (o deve restituire il doppio, se l’ha ricevuta); chi ottiene la risoluzione ha diritto al risarcimento dei danni subiti. Il rischio per chi agisce è basso nel recesso, se i presupposti sussistono; è alto nella risoluzione, se l’inadempimento non viene riconosciuto come grave.
Errori che costano
Nella prassi, gli errori più frequenti derivano dalla confusione tra i due istituti o dalla fretta di agire senza verifiche.
Recedere senza averne diritto. Chi dichiara di recedere da un contratto che non prevede il recesso — né legale né convenzionale — commette un inadempimento. L’altra parte può rifiutare lo scioglimento, pretendere l’esecuzione e chiedere i danni.
Invocare la risoluzione per un inadempimento lieve. Se l’inadempimento non è grave, la domanda di risoluzione viene respinta. Nel frattempo, la parte che l’ha promossa potrebbe aver sospeso la propria prestazione, esponendosi a sua volta a responsabilità.
Non rispettare i termini della diffida. La diffida ad adempiere deve indicare un termine congruo (minimo 15 giorni). Se il termine è troppo breve o la diffida è formulata in modo generico, la risoluzione non si produce e l’iniziativa può ritorcersi contro chi l’ha assunta.
Agire senza documentazione. Prima di recedere o risolvere, è essenziale raccogliere le prove dell’inadempimento altrui o della sussistenza del diritto di recesso. Una comunicazione precipitosa, priva di fondamento documentale, indebolisce la posizione in un eventuale giudizio.
Per verificare se il contratto prevede un diritto di recesso, se l’inadempimento della controparte giustifica la risoluzione o quale procedura seguire, è possibile richiedere una consulenza personalizzata allo Studio.
In chiusura
Sciogliersi da un contratto è possibile, ma non è mai un atto libero e privo di conseguenze. Il recesso richiede una base legale o contrattuale; la risoluzione presuppone un inadempimento grave e una procedura corretta. Confondere i due istituti, o agire senza verifiche, trasforma una posizione di vantaggio in una responsabilità risarcitoria.
Per verificare quale strumento sia applicabile al proprio caso, se i presupposti sussistano e come procedere senza errori, è possibile richiedere una consulenza personalizzata allo Studio Legale.
Disclaimer: Il presente testo ha carattere meramente informativo e non costituisce parere legale. Per una consulenza specifica e conforme al caso concreto si raccomanda di rivolgersi a un avvocato regolarmente iscritto all’Ordine professionale.
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